Macchinari attrezzatura per la lavorazione della lamiera

Macchinari attrezzatura per la lavorazione della lamiera

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La passione per le moto accomuna
la vita privata e quella imprenditoriale
di Dieter Niederfriniger.

Un cognome difficile da pronunciare ma importante e autorevole, una passione smodata per i motori e le belle macchine in particolare, ma soprattutto la competenza, l’intuito, la lungimiranza e la voglia di essere un imprenditore che sa osare e mettersi sempre in discussione.
Questo è Dieter Niederfriniger che abbiamo incontrato per questo primo numero di STEEL LIFE. Un’intervista a 360° in cui il titolare e amministratore unico di Alpemac ha raccontato come già all’età di undici anni fosse, a suo modo, un originale imprenditore in erba.

 

 

Un cognome importante e complicato da dire; partirei da qui. Puoi dirci chi è l’italianissimo Dieter Niederfriniger?
Il mio cognome è originario della Val Venosta che è una delle quattro principali valli del Trentino-Alto Adige, dove é nato mio nonno. È una valle per lo più dedita a pastorizia, frutticoltura e viticoltura e questo caratterizza la gente che ci abita che per sua natura è poco loquace. Io invece, pur avendo queste origini, mi sono sempre distinto per essere quello di famiglia con la mentalità più aperta. Sempre avuta! La mia è una natura piuttosto irrequieta nel senso buono del termine e questo mi ha portato a mettermi sempre in gioco e a osare, a qualsiasi età. Sono sempre stato istintivo e molto curioso e questo mi ha aiutato tanto nella vita. Ricordo che arrivavano i primi turisti da Milano e io ero l’unico nel paese che sapeva parlare correttamente l’italiano. A scuola lo si studiava, così come l’inglese, ma se una lingua non la si parla frequentemente si perde. Io invece andavo a parlare con i turisti anche perché, guardando le trasmissioni di Mike Bongiorno sulla televisione italiana, avevo acquisito un italiano fluido e corretto; questo mi ha fatto conoscere molta gente e fatto fare tante amicizie con i ragazzini che venivano in vacanza dalle nostre parti. Ho sempre avuto un animo commerciale: a 11 anni, nei mesi estivi, facevo per esempio il pastore all’Alpe di Siusi per una famiglia di contadini che abitava a 1.800 m di altezza senza elettricità. Mi alzavo alle 6,00 di mattina, mungevo le mucche, portavo il latte in paese con il carretto trainato dal cavallo, tornavo in baita e portavo le bestie al pascolo. Ma una volta qui, mi annoiavo perché mentre le mucche brucavano non c’era molto da fare. Mi sono allora ingegnato e ho messo a frutto il mio italiano fluente per vendere minerali ai turisti che passavano lungo il sentiero turistico che portava verso le cime del Sassopiatto e del Sassolungo. Sapevo dove trovare i minerali e i geodi, li rompevo con il martello e li vendevo ai passanti in questa sorta di bancarella che avevo allestito sul passaggio. In pratica, a undici anni, mentre facevo il pastore, avevo il mio bazar di minerali all’alpe di Siusi; ero già un piccolo imprenditore. Dico questo per dire che curiosità, originalità e voglia di mettermi in gioco non mi sono mai mancate.
Quelle origini, così umili, sono il mio valore aggiunto perché oggi che sono un imprenditore di successo, non dimentico chi sono stato e da dove vengo poiché ho avuto la fortuna e la possibilità di vivere un’infanzia fantastica e per alcuni aspetti invidiabile.
Il primo lavoro attinente la meccanica e la lavorazione lamiera l’ho fatto a 13 anni andando a lavorare con mio papà che mi diede il compito di piegare alla pressa piegatrice ben 24.500 pezzi di lamiera per una commessa; ci sono voluti tre mesi di tempo. Una noia mortale per come ero abituato fino ad allora, ma ne è valsa la pena poiché facevo tutto per la mia smodata passione per i motori. Il sogno era infatti la moto, il 125. Ho risparmiato tre estati a fila per riuscire a comperarmi, a 16 anni, il Cagiva Arizona Hawk 125, uni primi modelli di moto enduro.

 
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La viscerale passione per le macchine da corsa,
cattive e spigolose, e per l’elevata velocità sono un’altra costante
della vita di Dieter Niederfriniger.

Ero entusiasta perché finalmente potevo andare a scuola con la moto, ma la gioia è durata poco perché al terzo giorno di istituto tecnico industriale me l’hanno rubata. È stata la prima lezione di vita; ho, infatti, imparato che esistono anche le sconfitte e che si impara più da queste che dai successi perché sono le difficoltà a farti crescere e spingerti oltre i tuoi presunti limiti. Ho studiato metalmeccanica con risultati buoni ma contrastanti: eccellevo nelle materie tecniche e pratiche ma sopravvivevo in quelle più tradizionali come la matematica, la chimica e la storia. Dopo il diploma però, non ho più voluto proseguire gli studi perché sentivo il bisogno di iniziare a guadagnare dei soldi per permettermi nuovamente e finalmente una nuova moto. In famiglia avevamo una rivendita di materiali e mi venne data la possibilità di vendere forbici e attrezzature per lattoneria. Mi sono buttato a capofitto in questa attività riuscendo a ottenere dei buoni risultati e a iniziare a formare quel bagaglio di competenze che negli anni a seguire avrebbero fatto la differenza anche attraverso dei corsi di specializzazione presso la Schlebach vicino a Francoforte, in Germania. Insomma, prendevo il meglio da ogni situazione e mi sono rimboccato le maniche.
La mattina andavo a montare le macchine e il pomeriggio a venderle. In un anno ho venduto otto piegatrici da 6 metri e di queste mi occupavo anche della manutenzione, quello che oggi chiamiamo service. Ricordo con ironia che i miei mi dicevano: “non andare in Italia perché quelli non pagano”. Consiglio che non ho mai preso in considerazione visto che già all’epoca andavo a vendere in Molise e Abruzzo. Raccoglievo i lattonieri della zona con le Pagine Gialle, pagavo loro la cena durante la quale facevo le dimostrazioni dell’utensileria. Partivo con la mia Opel Astra carica di attrezzature e tornavo con la macchina vuota ma con il portafogli pieno di soldi. Via via mi sono sempre più specializzato e affermato tanto da essere stato il primo in Italia a portare la tecnologia della “doppia graffatura” per congiungere le lamiere. In Italia avrò venduto minimo mille macchine per questa tecnologia e 700 piegatrici tangenziali che all’epoca, non erano così diffuse e conosciute. Ho quindi contribuito a scolarizzare un settore iniziando fin da allora a portare sul mercato sempre qualcosa di nuovo e innovativo, cosa che tuttora fa parte del mio DNA e di quello di Alpemac. Sono sempre stato un outsider originale; ho sempre fatto quello che gli altri non facevano proponendo qualcosa di unico, di diverso. Mi piaceva argomentare una tecnica e non vendere un prezzo e non esagero nel dire che ho fatto la fortuna di tanti lattonieri che con le mie macchine e attrezzature hanno potuto distinguersi e affermarsi sul mercato.
È un racconto un po’ frastagliato ma credo chiarisca perfettamente chi è oggi il Dieter Niederfriniger imprenditore. Se dovessi dare un consiglio ai ragazzi di oggi, gli suggerirei di non intimorirsi davanti alle prime difficoltà ma di essere determinati. Consiglierei loro di non smettere mai di essere curiosi e di prepararsi per essere unici e affamati di conoscenza ed esperienze. L’anno prossimo, mia figlia Sophia andrà a Londra a studiare marketing; ammiro molto questa sua decisione e la sua voglia di mettersi in gioco. Mi auguro che al suo ritorno abbia voglia di entrare in azienda perché sono certo saprà portare qualcosa di nuovo.

 
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Parlando di figli la domanda è spontanea poiché le origini di Alpemac rimandano a tuo nonno Luis Niederfriniger di cui il tuo neonato secondo genito porta il nome: cosa significa per te questa cosa?
Per me ha un significato molto forte perché dopo essere stato deluso dalla famiglia nel recente passato con le vicissitudini che hanno portato alla separazione aziendale e alla nascita di Alpemac nel 2015, ho voluto dare un segnale importante. È come se si fosse chiuso un cerchio; da Luis Niederfriniger a Luis Niederfriniger, nel segno della continuità di quel progetto avviato da mio nonno, che oggi io porto avanti e che un domani, mio figlio, insieme a sua sorella Sophia, spero vorranno, a loro volta, proseguire.
È come se mi fossi un po’ riconciliato con il concetto di famiglia e mi fa piacere essere stato l’unico a chiamare il proprio figlio con il nome del nonno paterno. Un uomo che purtroppo ho conosciuto per poco tempo essendo scomparso quando io avevo dieci anni ma che ricordo essere severo con i propri figli ma eccezionale con noi nipoti. Suddivideva la sua pensione tra i nipoti dandoci una macia mensile proporzionata all’età. Ricordo che io giocosamente dicevo ogni fine mese: “che bello oggi mi arriva la pensione”.
Il significato di questo nome è quindi da ricercare nella voglia di dare continuità al progetto – che oggi si chiama Alpemac – riappropriandomi a pieno titolo della nostra tradizione che auspico Luis e Sophia vorranno e sapranno portare avanti.
Allo stesso tempo però, sono anche consapevole che se loro, o anche uno dei due, non volesse essere parte di questo lungo cammino, non imporro nulla perché ho troppo rispetto delle persone che lavorano con me. Sia Sophia che Luis entreranno in azienda se lo vorranno e se sapranno portare con loro quella componente di unicità che, fino a oggi, ha permesso di fare la differenza.

 

In trent’anni che faccio questo mestiere ho intervistato moltissimi imprenditori con “I” maiuscola come te e posso dire con certezza che vi accomuna l’intuito, la lungimiranza e un pizzico di follia; ti ci ritrovi?
Inizio da quest’ultima perché penso che se non sei minimamente folle non puoi essere un imprenditore. Parlo di follia ma in realtà mi riferisco al coraggio che a volte ti porta a prendere quelle decisioni contro tendenza che si rivelano poi vincenti per il futuro della tua azienda. Per me è sempre stato così: torniamo al concetto dell’unicità e del poter differenziarsi dagli altri. Ho sempre creduto nella necessità di dare al mercato qualcosa di diverso prima di chiunque altro per maturare quel gap di conoscenza ed esperienza fondamentale per tenere a distanza i competitors che decidono di imitarti.
Qui entra in gioco l’intuito e la lungimiranza in quanto bisogna avere una visione ben chiara del dove si vuole arrivare per mettere in atto tutti i passi necessari a raggiungere l’obiettivo.
L’esempio concreto è la nostra sede di Calcinato che esprime al meglio ciò che intendo per visione.
Abbiamo infatti voluto creare un ambiente elegante e accogliente allo stesso tempo in cui mettere a proprio agio il cliente per dargli la possibilità di toccare con mano ogni macchina e tecnologia al fine di testarne pregi e perché no, anche gli eventuali limiti riferiti alla sua specifica attività.
Un approccio che, come ben sai, è più affine a un produttore di macchine utensili piuttosto che a un commerciate quale invece è Alpemac. Qualcuno, forse, mi definisce folle, ma noi siamo una realtà unica nel suo genere per mentalità, servizio e competenza; caratteristiche che è possibile ritrovare solo in alcuni dei nomi di costruttore più blasonati del mercato di cui, tra l’altro, ci siamo guadagnati il rispetto. La fortuna aiuta gli audaci ma non gli sprovveduti e io, come detto all’inizio, ho osato tanto ma sempre in maniera ben ponderata e cosciente.

 
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L’amicizia fra Flavio Baietti e Dieter Niederfriniger
è un valore aggiunto fondamentale per Alpemac.

Quando nel 2015 hai fondato Alpemac sapevi già che in soli sette anni sarebbe diventata un riferimento assoluto del mercato? Oggi Alpemac è già la realtà che volevi?
Quando mi sono liberato dei miei ex soci e ho creato Alpemac avevo una forte voglia di rivalsa e ovviamente ambivo ad arrivare dove siamo oggi. Francamente non pensavo che dopo soli sette anni potessimo già essere un riferimento così importante per il mercato; lo speravo ma non vi era alcuna certezza. Ciò di cui invece ero certo era la voglia di sentirmi libero. La libertà non ha prezzo. Sembra una frase banale ma quando tocchi con mano l’essenza di questa affermazione ti rendi conto di quanto sia invece pazzesca. Ho perso parecchi soldi ma la determinazione e la voglia di calare tutto me stesso in questo nuovo progetto fatto a immagine e somiglianza alle mie aspirazioni e ai miei desideri, senza più dover render conto a nessuno, ha prevalso su tutto. Ho osato un’altra volta e ho avuto nuovamente ragione stando ai 27 milioni di euro di fatturato dello scorso anno. È come quando ti butti in mare e inizi a nuotare per arrivare a riva; mi è tornata la voglia di rimettermi in gioco e di correre dietro al cliente e alle sue esigenze. Non è stato fin qui un percorso privo di ostacoli, su tutti per esempio la pandemia, ma il fatto di avere sempre al mio fianco il mio amico di sempre Flavio Baietti, attuale direttore commerciale di Alpemac e persone fidate come Erica Barulli e Massimiliano Mantovani, mi ha aiutato e supportato nei momenti più complessi e nel prendere le decisioni più delicate. Ecco, a un imprenditore non deve mai mancare anche quel pizzico di fortuna e poter contare sul consiglio fidato di una persona come Flavio è certamente una delle mie fortune. Se Alpemac è già la realtà che avevo immaginato? Beh, certamente è a buon punto essendo l’unico distributore italiano che può vantare un range di prodotto così completo e una competenza così estesa in ogni ambito della lavorazione della lamiera. Ci tengo poi a dire che guido un gruppo di persone fantastiche, competenti e appassionate, che sono alla base del nostro successo. Una vera e propria squadra. Definirei quindi Alpemac un progetto ben strutturato anche se ci sono ancora altre tappe per completare la mia idea di azienda. Voglio arrivare a creare un format aziendale ottimale ed efficiente da replicare poi in alte realtà come avvenuto per esempio con Alpemac Maschinen in Austria.

Il prossimo step sarà quello che ormai in azienda chiamiamo tutti Alpemac Rigenera, ovvero un’azienda indipendente che si occuperà di recuperare, revisionare e rigenerare le macchine usate per poi rimetterle sul mercato con un sigillo di qualità garantita da Alpemac dai 6 ai 12 mesi. Ho voglia di creare un vero e proprio sigillo di qualità che ne certifichi la bontà e di ricorrere alla multimedialità per consentire a ognuno di andare a visionare sul web il percorso di retrofit subito da quella data macchina. Insomma, anche in questo caso, stiamo cercando di pensare qualcosa di nuovo e originale da dare al mercato.

 
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Per essere una realtà commerciale, Alpemac è decisamente atipica nell’accezione più positiva del termine; direi unica nel suo genere per mentalità e approccio al mercato. La scala luminosa all’ingresso della sede di Calcinato è il simbolo di questa unicità, non a caso gli abbiamo dedicato la prima copertina della nostra rivista a testimonianza dell’originalità anche di questo progetto editoriale. Questa scala ha però molti altri significati, puoi dirci quali?
Volevo una scala assolutamente innovativa e unica nel suo genere, per questo motivo mi sono affidato al mio carissimo amico Vittorio Sandrini che con la sua azienda è specializzato nella realizzazione di scale hi-tech di design il quale, nonostante mi conosca da secoli e sappia molto bene che odio tutto ciò che è tondeggiante e privo si spigoli, ha dovuto presentarmi ben tre progetti prima di propormi quello in cui potessi identificarmi. Non avevo ben chiaro come doveva essere questa scala ma sapevo cosa dovesse rappresentare: un simbolo di innovazione tecnologica in cui ognuno di noi potesse ritrovarsi e identificarsi. Un segno distintivo di Alpemac, riconoscibile di giorno e di notte, capace di far capire a chiunque entri in azienda di essere nel posto giusto, un luogo che trasuda innovazione e dove si respira tecnologia. Vittorio è un artista poiché alla fine ha fatto ricorso alla mia grande passione per le macchine da corsa “cattive” e spigolose – come la Lamborghini – per studiare una scala di 28 tonnellate di ferro lavorato fatta con gradini a led luminosi sospesi, ritorti e rinforzati all’interno per annullare qualsiasi vibrazione a prescindere da quante persone la percorrano in contemporanea. La nostra scala è futuristica, unica e all’avanguardia come la tecnologia di cui, come Alpemac, ci vantiamo di essere portatori sani nell’industria. La scala genera nei visitatori un effetto wow e le nostre macchine devono provocare la stessa reazione per performance e prestazioni di lavorazione.

Lasciamo il Dieter imprenditore e torniamo all’uomo; quali sono le tue passioni?
Mi piacciono tantissimo l’architettura e il design. Adoro tutto ciò che è strano e guarda caso originale. Mi affascina tutto ciò che è particolare e qui torniamo al concetto della nostra scala all’ingresso e alla nostra sede di Calcinato. Ho poi ereditato da mia mamma il buon gusto, nell’abbigliamento e nell’abbinamento dei colori per esempio. Mi piacciono come già detto le moto, le macchine e la velocità. I motori in generale ma soprattutto ciò che amo più di tutto è il mio lavoro che mi porta a incontrare persone sempre nuove e a confrontarmi con loro. Credo di non aver mai fatto una vacanza senza sentirmi almeno una volta al giorno con Flavio che considero alla stregua di un fratello e con cui condivido questa visione aziendale oltre a diversi altri hobby e sport. Credo sia una fortuna per un uomo poter far coincidere il proprio lavoro con la propria passione. Anche per questo mi ritengo fortunato.

Tu bolzanino doc, cosa hai trovato nel territorio bresciano tanto da fartene innamorare?
Parlare della bellezza del Lago di Garda e della Franciacorta sarebbe banale e scontato. Preferisco invece parlarti del bresciano che è per sua natura una persona genuina e sincera che non crea problemi ma li risolve. Ho imparato molto da queste persone tant’è vero che non ho avuto il minimo dubbio sul dove mettere radici e collocare la mia base operativa, anche perché Brescia è in una posizione piuttosto baricentrica e questo è un aspetto da non trascurare pensando alla logistica dei trasporti per esempio.

In conclusione, cosa vedi dentro la sfera di cristallo per il futuro prossimo?
È una bella sfida basata sull’evoluzione tecnologica. Più innovazione ci sarà, più business ci sarà per una realtà come Alpemac.
È una cosa direttamente proporzionale poiché una delle maggiori problematiche del prossimo futuro sarà la manodopera che già oggi è difficile da trovare. Chi vincerà? Chi investirà in tecnologia e chi, oltre al posto di lavoro, offrirà anche una casa, ovvero quella serenità che è alla base per poter rendere al meglio e poter fare con passione il proprio lavoro.

Fabrizio Garnero